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Cosa c’è dietro la scomparsa di Antonio Strangio? I legami con la storia criminale di Milano, i timori di una nuova guerra di ‘ndrangheta


di
Cesare Giuzzi

Una settimana fa a San Luca, in provincia di Reggio Calabria, è scomparso il 42enne, figlio di uno dei rapitori di Cesare Casella. Nella sua auto sono stati trovati frammenti di ossa. Gli strani manifesti della famiglia in paese

Il mistero è senza soluzione da giorni. E gli indizi, messi in fila, portano su strade sempre più oscure e terribili. Specie dopo il ritrovamento di resti umani. In mezzo ci sono storie di ‘ndrangheta che riportano anche a Milano e alla Lombardia. Ai tempi dei sequestri di persona e del rapimento nel 1988 di Cesare Casella, rimasto nelle mani dei suoi sequestratori per più di due anni. Vicende che si intrecciano con quelle delle più importanti famiglie di ‘ndrangheta della Locride e del luogo simbolo della mafia calabrese, il paese di San Luca, sulle pendici d’Aspromonte, culla del «Crimine della ‘ndrangheta». Una storia dal finale non ancora scritto ma che somiglia sempre di più alla trama tetra di una serie tv. Per quello che è stato in passato, per quello che è oggi.




















































Tutto inizia una settimana fa. Quando a San Luca, in provincia di Reggio Calabria, si sparge la voce che un uomo di 42 anni, padre di quattro figli, non è tornato a casa. Non lo fa da giorni, in realtà. Ha dei precedenti per narcotraffico e un cognome importante: si chiama Antonio Strangio, fa parte di una delle famiglie più note della ‘ndrangheta. La storia recente rimanda alla sanguinosa strage di Duisburg e ai sei morti in Germania la notte di Ferragosto del 2007. In realtà il suo ramo familiare non è legato direttamente ai Nirta-Strangio in guerra da anni con i Pelle-Vottari. Lui fa parte degli Strangio «Barbari», legati a doppio filo (per parte di madre) alla altrettanto storica famiglia dei Mammoliti (detti Fischiante) e alle vicende del triangolo dei sequestri: Natile, Platì e San Luca. Cognomi incisi in centinaia di sentenze dei tribunali di mezzo mondo dagli anni Settanta a oggi.

La trappola dei carabinieri nel 1989

Antonio è figlio di Giuseppe Strangio, nato a San Luca il 18 febbraio del ’54. Il padre è un personaggio noto alle cronache anche fuori dalla Calabria perché la vigilia di Natale del 1989 venne ferito e arrestato dalle teste di cuoio dopo un conflitto a fuoco in Aspromonte. Quella notte i carabinieri dei Gis stavano simulando il pagamento di una parte del riscatto per Cesare Casella e dopo la sparatoria riuscirono ad arrestare uno degli uomini della banda, per l’appunto Giuseppe Strangio. Lui dopo le manette aveva fatto anche un appello affinché il giovane Cesare fosse liberato. Ma ci vorrà quasi un altro mese per vederlo tornare a casa. 

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L’anonima sequestri calabrese

Giuseppe Strangio era evaso dalla casa circondariale di Lecce dopo un permesso premio, dove stava già scontando 27 anni per il sequestro De Feo. Non faceva parte del gruppo degli organizzatori in Lombardia (legati ai Sergi-Barbaro) ma di coloro che «gestirono» il sequestro in Calabria. Per quel rapimento sarà poi condannato a 12 anni. Suo fratello Francesco, classe ’46, era invece stato condannato per un altro sequestro eccellente in Lombardia, quello del re delle pellicce Giuliano Ravizza, rapito sempre a Pavia nel 1981.

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Il fuoristrada bruciato e i resti di ossa

Di Antonio Strangio invece si sa pochissimo. Ha precedenti per narcotraffico, ha scontato una condanna, è certamente inserito nell’organigramma della famiglia, ma con una posizione apparentemente defilata. Ma nella ‘ndrangheta l’apparenza è una lente sempre distorta. Sembra però che Strangio non si sia allontanato volontariamente da casa, né che fosse in odore di arresto. La sua quindi non sembra una latitanza preventiva ma una sparizione «non volontaria». Soprattutto perché lunedì i carabinieri del Gruppo di Locri e della compagnia di Bianco, coordinati dalla procura di Locri e dalla Dda di Reggio Calabria, hanno trovato il suo fuoristrada bruciato in un campo vicino alla fiumara Bonamico, il torrente che attraversa la valle su cui si affaccia San Luca e che scende fino allo Jonio. Dentro l’auto c’era quella che sembrava la carcassa di un animale, di una capra o forse di una pecora. Ma ora le prime analisi dei veterinari e dei Ris di Messina fanno pensare ad altro: frammenti di ossa umane distrutte dal fuoco. Sui resti verrà ora eseguito l’esame del Dna, ma le voci dicono che possa trattarsi proprio del 42enne scomparso. 

Gli strani manifesti sgrammaticati

E ai messaggi in codice se ne aggiunge un altro, altrettanto inquietante. Manifesti affissi in paese e a Bovalino (dove vivono ormai molti giovani di San Luca e Platì) dalla stessa famiglia di Strangio, con gli stessi caratteri e il medesimo linguaggio, benché sgrammaticato, di quelli che annunciano un lutto: «Le famiglie Strangio e Scalia (quella della moglie di Antonio Strangio, ndr) ringraziano a tutta la popolazione ma dispensano dalle visite». Parole che per gli investigatori potrebbero anche essere lette controluce, ma dal significato ben chiaro. Antonio Strangio è morto? Per ora non ci sono certezze. Ma i segnali vanno in quella direzione.

I collegamenti con la strage di Duisburg

Perde sempre più corpo l’ipotesi che possa trattasi di una sparizione simulata (magari per questioni ancora non note agli inquirenti) e che il piano sia stato sostenuto anche dai familiari. Nelle ultime ore, dopo la conferma che quelli trovati sul fuoristrada sarebbero davvero resti umani, la preoccupazione degli investigatori e dei magistrati è cresciuta in modo esponenziale. E anche a San Luca – come raccontato dall’inviato del Corriere a Reggio Calabria, Carlo Macrì – la tensione è altissima, con le famiglie che ritirano i figli da scuola. Come nei giorni della Faida tra i Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari. A San Luca si teme un delitto mafioso e l’omicidio di uno Strangio potrebbe riaprire vecchie pagine della storia. Nel febbraio 2008 la famiglia di Antonio Strangio è stata colpita da un sequestro di beni del Tribunale di Reggio Calabria insieme agli altri clan di San Luca coinvolti nella faida che portò alla strage di Duisburg. Scrivevano i giudici nel motivare il provvedimento: «Proprio le notevoli acquisizioni patrimoniali effettuate dal nucleo familiare di Strangio Giuseppe, anche in tempi recentissimi, assolutamente non giustificate sulla base dei redditi dichiarati, testimonino una attuale pericolosità sociale e l’inserimento in pericolosi circuiti criminali, non potendo gli investimenti effettuati trovare origine se non in un’attività di carattere illecito in gran parte costituente frutto o reimpiego delle somme di denaro acquisite attraverso i gravissimi reati di sequestro di persona a scopo di estorsione già accertati con sentenza passata in giudicato». Rapimenti come quelli compiuti quarant’anni fa in Lombardia.

Il traffico di cocaina

Da allora però gli interessi delle cosche si sono concentrati su ben altro, in particolare sul traffico di cocaina. E gli Strangio, come le altre famiglie del «triangolo dei sequestri» hanno aperto rotte dirette con il Sud America e soprattutto il Nord Europa. Rotte che riportano a Milano e in Lombardia. La faida di San Luca, iniziata nel Carnevale del ’91 dal lancio di uova di alcuni ragazzini (ma in realtà fu solo il pretesto), è stata chiusa dopo Duisburg con un accordo tra i più importanti boss delle cosche allora in vita: i Pelle e i Barbaro. La famiglia più pesante di San Luca e i principi della ‘ndrangheta di Platì. Una pace necessaria per tornare ad allontanare forze dell’ordine, giornalisti e telecamere da San Luca. E la speranza di molti, dentro e fuori San Luca, è che presto il silenzio cali anche intorno alla sparizione di Strangio. Un silenzio che potrebbe custodire i segreti di un delitto. E magari di qualcosa di più.

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22 novembre 2024 ( modifica il 22 novembre 2024 | 14:04)



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