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tutti i gesti perduti del calcio


Gesti sacri. Il problema è che non c’è più religione. Ormai nel calcio regna una sola tattica: scienza e costruzione dal basso. Prendiamo la rovesciata. Eduardo Galeano narra che a inventarla fu Ramon Unzaga sul campo del porto cileno di Talchahuano, El Morro. Ramon era nato a Bilbao alla fine dell’Ottocento, quando aveva dodici anni la sua famiglia si era trasferita in Cile. Lavorò tutta la vita come contabile per la miniera Schwager, ma quando giocava a calcio diventava un altro. Nel 1918 raccontò a El Sur che «in due occasioni l’arbitro mi diede fallo per un salto di gran classe che avevo fatto per respingere la palla». Seguì un alterco. Unzaga fu espulso: «Mi rifiutai di uscire per regolare i conti». Aveva bisogno di un brutto cross per eseguire quella giocata di gran classe, la cilena, come presero a chiamarla più tardi in giro per l’Europa. Un cross sbilenco e fuori misura che serviva a Ramon per vibrarsi in aria e colpire la palla in equilibrio sul niente. Fu solo l’inizio. Poi la rovesciata cominciò a diffondersi, come succede il sapere. Arrivò nel vecchio continente per esportazione, la immortalarono nelle menti, nelle storie, nelle fotografie. Quella che ci ricordiamo sempre tutti ritrae Carlo Parola, diventato l’icona delle figurine Panini. Più tardi sono arrivati van Basten, Ronaldinho, Djorkaeff, Cristiano Ronaldo. Ma il gesto è in estinzione, e non è l’unico.

I dribbling

Nessuno dribbla più. Non più come una volta. L’evoluzione tattica ha posto delle condizioni: organizzazione o rischio. Bisogna scegliere. Non ne è stato l’inventore, ma Roberto Donadoni è stato l’archetipo del dribbling. A cui dedicò anche la sua tesi a Coverciano: «La libertà di poter eseguire un dribbling non è un valore assoluto: essa ha dei limiti, determinati dal fatto che in caso di insuccesso non deve emergere una situazione immediatamente pericolosa per la propria squadra. In generale non si deve effettuare un dribbling quando ci troviamo senza copertura alle spalle». Il dribbling è una pausa nel gioco, quasi una giostra medievale: ci si affronta uno contro uno, tutti gli altri stanno a guardare.

Da almeno dieci anni si parla di un calcio che ha perso la fantasia. Eh, non si gioca più per strada, i ragazzi non sono più liberi di correre, inventare, rischiare. Colpa dell’industrializzazione, della cementificazione, delle troppe macchine, della sicurezza. Come no. Chissà perché la colpa non è mai del gioco inscatolato, incapsulato in uno schema rigido. È con quello che certi gesti finiscono in soffitta. Compresa la rabona. A inventarla fu Gianni Roccotelli in un Cagliari-Spal del ’76: a un certo punto incrociò il piede sinistro col destro da cui lasciò partire un cross millimetrico per Virdis. «La facevo già da bambino – racconterà anni più tardi -, per me era un gesto naturale e spontaneo. Io la chiamavo incrociata. Poi si cimentò l’immenso Maradona e divenne rabona».

Lo scambietto

Per capire che fine fanno i gesti perduti del calcio dobbiamo tirare in ballo il sublime, le botteghe e l’imprevedibile. Succede tutto così, niente è organizzato. Imprevedibile fu, per esempio, il doppio passo, gesto dalla dubbia paternità. Per alcuni nacque dai lampi di Law Adam, giocatore mezzo svizzero e mezzo olandese di fine anni ’20, inizio anni ’30, che tutti chiamavano “The scissorman” e che morì in uno spogliatoio: dopo due gol e tre assist all’ottavo del secondo tempo lasciò il campo con una mano sul petto. Altri dicono che il doppio passo è tutto di Amedeo Biavati, ala destra del Bologna, campione del mondo nel ’38. Del suo gesto per eccellenza scrisse Gianni Brera che la chiamava scambietto: «La finta di iniziare il dribbling con il destro, teso e poi trattenuto e richiamato con armoniosa sornioneria quando l’avversario ha ormai pensato al sinistro». «Qualcuno sostiene che già Mumo Orsi eseguiva quel “finto passo” con una gamba per raccogliere la palla con l’altra, ma io debbo dire che lo abbozzava appena. Biavati invece è stato l’attaccante che ha portato il passo doppio alla perfezione», raccontò invece il ct dell’Italia Vittorio Pozzo. Per Biavati quel gesto diventò un marchio di fabbrica, la gente se lo aspettava, voleva andare a vedere lo spettacolo. C’è qualcosa di smisuratamente bello in gesti di quella portata, così sublimi da fare paura. Perché si rischia la figuraccia o, peggio, il contropiede. Ma finché il calcio è rimasto un atto di libertà nessuno ha avuto niente da ridire.

Invece le donne

Qualcuno li inventa, ma anche i gesti si imparano per emulazione e tentativi. È una specie di artigianato, si va a bottega da chi ha qualcosa di prezioso da insegnare, da tramandare. Una tecnica, una pennellata. Come nel Rinascimento. Il rigore da fermo, il calcio di punizione (si è passati dai 43 centri su 718 tentativi del 2013-14, ai 18 su 340 della passata stagione), il tacco volante. Il gol da calcio d’angolo. Massimo Palanca giocava nel Catanzaro, calzava il 37, segnava direttamente dalla bandierina (13 volte in carriera): «Sfruttavo il vento forte che soffiava allo stadio di Catanzaro». L’elastico lo inventò Sergio Echigo, un calciatore nippo-brasiliano che 1964 stupì Rivelino, campione del mondo nel 1970. «L’ho visto palleggiare in quel modo e gli ho chiesto: cosa stai facendo? Ho iniziato a imitare quel palleggio e l’ho perfezionato. Lui si è ritirato ed è tornato a casa, in Giappone, e io ho continuato a giocare. È il mio marchio di fabbrica, ma l’ho imparato da Echigo». Poi lo hanno affinato Rivaldo e Ronaldinho, che ne ha fatto pure uno slogan: joga bonito. Oggi che il calcio ha tutto schedulato, dal pressing alle posizioni, ci si affida all’archeologia di questi gesti. Oppure alle app: ti iscrivi, ti mandano gli esercizi giusti per allenarti alla fantasia. Libero da ogni compromesso è il calcio femminile. Sui social impazzano i prodigi di Marta, la calciatrice brasiliana che ha vinto palloni d’oro e segnato più di cento gol in carriera. O i colpi di tacco di Ella Toone. Lizbeth Jacqueline Ovalle in Sudamerica la chiamano la maga perché segna gol incredibili. Meno esasperazione, più improvvisazione. Toh, stai a vedere che le donne salveranno anche il calcio.

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