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«Non usavano guanti né camice»


«Tesoro, stai bene? Mangia qualcosa, mi raccomando». È questo il messaggio WhatsApp che la segretaria del centro Procopio invia ad Altea Lenzi, una giovanissima di Livorno, il 30 settembre, un’ora prima della sua operazione al naso.

Lo stesso studio di Marco e Marco Antonio Procopio, padre e figlio indagati di omicidio colposo per la morte di Margaret Spada, la 22enne di Lentini deceduta il 7 novembre, in seguito a un intervento di rinoplastica a cui si era sottoposta tre giorni prima nello studio di viale Cesare Pavese in zona Eur, luogo in cui mancavano le autorizzazioni per effettuare interventi. Nessuno aveva detto a Margaret di non mangiare, aveva spiegato agli inquirenti il fidanzato della vittima. Dichiarazione che appare ancor più credibile dopo quanto raccontato dall’ex paziente.

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«Io non volevo mangiare. Avevo paura di vomitare. Ma la segretaria insisteva di mettere qualcosa nello stomaco scrivendomi: “Mangia, l’anestesia viene fatta sul naso, non compromette nulla”», racconta Altea, mostrando i messaggi scambiati con la segretaria dello studio Procopio. Ma torniamo a Margaret, secondo la relazione della Asl sul percorso clinico-assistenziale della 22enne, la giovane aveva avuto, oltre ad un arresto cardiocircolatorio, anche «una polmonite ab ingestis» a causa di frammenti di cibo entrati nei bronchi. Una complicazione probabilmente dovuta, ma deve essere accertato, al fatto che Margaret mangiò un panino prima dell’intervento.

E ancora, a parlare con la vittima su TikTok era stata la compagna di Marco Antonio Procopio, come ha raccontato lei stessa quando è stata ascoltata (come persona informata sui fatti) dal pm Erminio Amelio, titolare delle indagini. Da accertare se sia la stessa “segretaria” che ha parlato con Altea.

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LA VICENDA

L’ex paziente livornese aveva deciso di affidarsi al centro Procopio dopo aver visto i video di una nota influencer su TikTok, proprio come Margaret. «Mi sono fidata delle foto e dei video sui social, per questo li contattai subito, senza informarmi ulteriormente». Amante della chirurgia e dei social, Altea è una “addicted” degli interventi: seno, naso, ombelico, orecchie, labbra. Rifatte più e più volte. Proprio per questo le anomalie del centro le aveva notate già dal percorso pre-operatorio: «La segretaria al telefono mi disse che potevo fissare l’intervento senza visita». Solo sotto richiesta di Altea riescono a fissare un incontro conoscitivo a maggio. «Marco Procopio, il padre, mi visitò dicendomi che avevano un buco proprio quel giorno e che potevo operarmi subito. Certo, se avessi avuto i soldi, avrei accettato, ma non potevo pagare in quel momento, quindi rimandai», spiega la giovane. Così l’intervento viene prenotato il 30 settembre, un mese prima di Margaret: «Quel giorno con me c’era mia zia, una volta uscite mi disse che quello studio sembrava tutto tranne che una clinica.

E aveva ragione, sembrava un centro veterinario. C’era gente che entrava e usciva, protezioni mediche inesistenti tra un paziente e l’altro. Anche il costo era strano: l’operazione precedente mi era costata 7.000 euro, questa solo 3.200». Ma la situazione più grave si presenta al momento dell’intervento. «Non indossavano né camici né guanti – racconta la giovane livornese – Mi fecero sdraiare con le scarpe, come se avessero fretta. Ho avuto paura».

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«Non mi chiesero nulla sulle allergie. Non firmai alcun foglio. L’unica cosa che avevo mandato erano le analisi, su WhatsApp». Poi l’anestesia locale contenente adrenalina, un vasocostrittore utilizzato spesso per ridurre il sanguinamento. «Avevo il batticuore a mille e un mal di testa terribile. Sentivo tutto: i colpi di martello mi rimbombavano nel cervello. Non era affatto una mini-operazione, come mi avevano detto. Mi misero un gesso sul naso, avevo delle fratture ossee».

Quindi in quello studio venivano effettuati – secondo questo racconto – anche interventi di chirurgia più complessi, non solo una rinoplastica senza osteotomia, ovvero senza la rottura delle ossa, come quella a cui si era sottoposta la 22enne deceduta. «Quando ho saputo di Margaret e che erano gli stessi medici, ero sconvolta. Ora ho chiuso con gli interventi, giuro», conclude Altea.

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